Qualche riflessione.

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Lyra Heartstrings
CAT_IMG Posted on 7/1/2013, 14:23     +1   -1




Una riflessione interessante sul significato attuale del Natale nella nostra società. Articolo scritto da Mario Rotta.

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Ha ancora un senso, quest’anno, parlare di come il consumismo ha snaturato i significati del Natale? Sembrerebbe di no: la crisi ha diradato la gente per le strade, le luci dei negozi sono diventate più sobrie, c’è meno ansia, meno lusso (ammesso che un concetto così palesemente inconsistente possa essere rappresentato in termini di maggiore o minore), meno frenesia per gli acquisti. Ma non credo che tutto questo accada perché stiamo cominciando a capire: siamo solo diventati più poveri, e siamo costretti a spendere di meno. Non appena passerà, se passerà, non solo torneremo a comprare regali superflui, ma temo che diventeremo ancora più compulsivi, come se dovessimo compensare in qualche modo le difficoltà di questo momento: il che è umano, se non fosse che gli esperti di marketing e gli strateghi del branding lo sanno già che è così che andranno le cose, e si stanno già muovendo per limitare i danni di questa fase più pacata e predisporci già adesso a ulteriori, future esagerazioni.

Non ci credete? Provate a guardarvi intorno con un po’ di attenzione. Ogni giorno, ad ogni ora, in ogni momento, c’è qualcuno o qualcosa che cerca di trasformare questa occasione in cui – per ragioni contingenti – potremmo riuscire a ritrovare tutta la purezza che avevamo smarrito, in una cantilena stonata di consigli per acquisti sempre più inutili. Come se le uniche cose che contano fossero quelle che si possono rinchiudere in un pacchetto o, peggio ancora, quelle che ci spingono a indebitarci ancora, per non si sa quanto tempo, per “possedere” servizi di cui non abbiamo chiesto di usufruire e che comprendono una quantità di opzioni dieci volte superiore a ciò che, al limite, potrebbe servirci davvero. Ormai è questa la frontiera dello shopping: non più gli oggetti in sé (spesso inutili anche quelli, ma se non altro tangibili, concreti), ma elementi inconsistenti di una specie di stile di vita che qualcuno (ma chi? Dove? Quando? Perché?) ha deciso che, in un modo o nell’altro, deve diventare il nostro parametro di riferimento. A queste entità senza volto che cercano di dirci come dovremmo essere e che cosa dovremmo fare non importa se siamo umani, se proviamo sentimenti, se abbiamo emozioni, se usiamo l’intelligenza, se apprezziamo la cultura, se amiamo la bellezza, se cerchiamo di ragionare, se siamo capaci di pensare. Anzi, questo insieme di capacità e di pulsioni che rende ognuno di noi realmente vivo è considerato estremamente pericoloso. Non dobbiamo ragionare, a meno che per ragionare non ci si riferisca al parlare (ma di che cosa?) usando l’ultimo modello di smartphone, magari per 300 minuti verso tutti (ma chi?); non dobbiamo essere intelligenti, a meno che questo non consista nello sforzo di scegliere un film o una serie TV tra tutte quelle comprese nel pacchetto premium che si cerca di proporre come idea regalo alternativa; non dobbiamo emozionarci, a meno che questo non significhi acquistare un costoso profumo per fingere di somigliare per un attimo, se sei una donna, a una dark lady accaldata, ambigua e ritoccata che frequenta solo palazzi sfavillanti e si veste come una puttana d’alto bordo, se sei un uomo a un giovanotto dalle mascelle pronunciate e i pettorali da palestra che ha l’aria di chi non ha mai avuto bisogno di lavorare in vita sua e si veste in modo da ostentare il fatto che, comunque sia, ha un sacco di soldi ed è abituato a cene eleganti.

Ecco a cosa ha ridotto il Natale 2012 l’immaginario pubblicitario: i giocattoli non ci sono quasi più (resiste solo qualche videogioco dove muoiono tutti), si intravede ancora, giusto per amor di patria, qualche panettone e qualche pandoro (ma tutti gli altri dolci delle feste della nostra straordinaria tradizione locale dove sono finiti?); per il resto sembra che della vita quotidiana facciano parte solo TV, telefonini più o meno “intelligenti” (ovvero apparentemente in grado di fare ciò che noi poveri stupidi evidentemente non sappiamo fare da soli) e profumi che si pronunciano come a New York o a Parigi, da utilizzare goccia dopo goccia come il surrogato di un’apparenza di ricchezza ormai talmente aleatoria da durare solo tra una sera e una doccia. Se questo è lo stile di vita a cui dovremmo ispirarci, lo trovo spaventoso: la vera fine del mondo è davvero quella che stiamo vivendo, direbbe Joseph Roth. E mi chiedo come mai, nei confronti di questa colossale e colpevole mistificazione della realtà, non sia ancora esplosa una rabbia cieca, incontrollabile, capace di muovere folle di gente contro le fortezze in cui i responsabili di questo continuo sprofondare nel nulla dovranno pur nascondersi, quanto meno per contare i profitti che ne ricavano. Invece non succede niente, prevale l’assuefazione, o forse la rassegnazione, e temo che sia così dappertutto, non soltanto in Italia, magari con qualche leggera differenza laddove la crisi si fa sentire meno, l’offerta commerciale è più variegata e ci si può illudere di poter essere un po’ più spensierati.

Ma non è questo il problema. Non si tratta più di discutere su cosa sia diventato il Natale e su come, invece, potrebbe o dovrebbe essere. Quello che dovremmo fare è capire che tutti i giorni è Natale, e tutti i giorni, se solo sapessimo guardare, se solo riuscissimo a sentire, potremmo cogliere il valore dei piccoli miracoli che ci accadono. La festa, nella sua sostanza più profonda, è la memoria di una gioia: per non disperderne i significati bisogna coltivare la memoria, esplorando un percorso che sotto molti aspetti è l’esatto contrario di quella corsa verso il baratro che la commercializzazione dell’inconsistenza che stiamo vivendo cerca di proporci come esempio. Non so se a scuola si legge ancora Catullo. Forse sì, in qualche classe probabilmente sì, nella maggior parte dei casi penso di no. Ma in Catullo ci sono delle parole che trovo perfette per esprimere questo paradigma rovesciato: nec meum respectet, ut ante, amorem, qui illius culpa cecidit velut prati ultimi flos, praetereunte postquam tactus aratro est. L’amore non è effimero, è fragile. Come un fiore sul ciglio del prato. Ma è proprio per questo che possiamo portarlo con noi. Ogni volta che ci ricorderemo di come quel fiore è stato reciso, e comprenderemo che quella fragilità era solo apparente, e che non c’è colpa, non c’è cambiamento che possa scalfire la sostanza di ciò che ha rappresentato.

Quest’anno, ogni anno, ogni giorno, provate a regalare a chi amate l’immagine di quel fiore sul ciglio del prato. Provate a regalare la visione di un’impronta nella neve, e tutte le storie che si possono immaginare partendo da quella traccia così instabile. Provate a trasformare in dono tutto ciò che per i vostri occhi è una gioia, perché diventi memoria, festa. Provate a regalare a un bambino un racconto che si sviluppa partendo da uno sguardo, o da un oggetto trovato lungo un torrente, o in un cassetto in cui era stato dimenticato finora: vedrete la meraviglia sciogliersi nei suoi occhi, e capirete che nessun giocattolo alla moda riuscirebbe a fare altrettanto. Provate ad ascoltare gli odori delle spezie e a ritrovarli in un bicchiere di vino, o sulla pelle di chi amate. Provate a commuovervi senza vergogna ascoltando la musica che riesce a portarvi più lontano, e a farvi sentire più vicini. Provate a cercare gli angeli nelle gocce di bellezza che popolano il mondo (senza che i media vecchi e nuovi se ne accorgano). Provate prima di tutto a sentirvi come quel fiore.

Dimentichiamo troppo spesso che il dono più bello è la sensibilità. Non ci rendiamo più conto che non è il denaro che ci appaga: sono le emozioni sincere, come scriveva già una grande poetessa italiana, l’unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno. I momenti più preziosi che portiamo con noi, se ci pensiamo bene, non sono quasi mai legati a nulla di materiale e meno che mai all’emulazione di stili di vita imposti dal bisogno di identificarsi con un modello omologato. I momenti più preziosi sono quelli che diventano festa, e tutte quelle feste che ci aiutano a ricordarcene e ci permettono di condividere con gli altri le emozioni che abbiamo saputo prima costruire, e poi ritrovare.
 
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jollyroger96
CAT_IMG Posted on 7/1/2013, 18:52     +1   -1




*commosso*
Una meravigliosa critica alla società. Da manuale oserei definirla, la fredda crudeltà dello shopping moderno e la noncuranza dei venditori è quasi tangibile come lo è la speranza di tornare alle origini, a ciò che il natale era e dovrebbe essere.
Questo testo non dimostra solo uno spirito critico perfettamente formato, affinato e tagliente come una spada e vero come la più forte emozione ma dimostra sopratutto una coscienza del reale che difficilmente si può riscontrare nella società moderna.
Ora come sempre, ottimo lavoro Marco.
 
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Lyra Heartstrings
CAT_IMG Posted on 7/1/2013, 19:12     +1   -1




Non c'è bisogno che mi ringrazi Jolly, io sono solo un tramite, non è la mia mano ad averlo scritto... magari avessi le idee così chiareXD Io voglio solo condividere queste idee con tutti, perchè aprono la mente e ci permettono di essere coscienti di noi stessi.
 
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Twilight Sparkle
CAT_IMG Posted on 7/1/2013, 21:35     +1   -1




Sagge parole.
Un mondo dove ormai si son persi gli vecchi e importanti valori umani, soppiantati dalla mania del potere, dall'avere più cianfrusaglie possibile.
L'estate scorsa ho avuto occasione di parlare con diverse persone Africane in spiaggia (per non chiamarli col termine brutto di "vù cumprà") le quali mi parlavano della vita in posti come Senegal. Beh, devo dire che seppur il mondo li chiama "incivili" devo dire che son più civili di noi. Hanno un gran rispetto per gli altri e sanno essere umani, disposti ad aiutarti in mille modi senza pretendere nulla in cambio, ma solo per garantire il tuo benessere. Proprio queste popolazioni hanno conservato i veri valori umani.
Ascoltando quel che mi dicevano ho imparato il vero significato di umanità.
E ho imparato che il benessere spirituale è migliore di quello materiale.
 
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jollyroger96
CAT_IMG Posted on 10/1/2013, 15:39     +1   -1




non vengono definiti incivili, sono paesi in via di sviluppo xD
 
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Lyra Heartstrings
CAT_IMG Posted on 10/1/2013, 21:48     +1   -1




Che è una presa in giro ancora più grossa... in via di sviluppo controllato piuttosto.
 
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jollyroger96
CAT_IMG Posted on 10/1/2013, 21:51     +1   -1




in effetti si può dire che siano ancora delle colonie quei posto. E' proprio un peccato, dovremmo esportare la democrazia e la giustizia occidentali invece di costringere la gente a venirsele a prendere
 
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6 replies since 7/1/2013, 14:23   71 views
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